Ristretta base partecipativa: la perfetta applicazione del nuovo onere probatorio
Chiarissima, sul nuovo onere probatorio in tema di “ristretta base” nelle società di capitali è la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, Sezione 5, con la sentenza n. 6119/2023 (Presidente: DI MAIO; Relatore: BARRELLA) depositata in data 3/11/2023.
ll ricorrente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento relativo al periodo d'imposta 2015, emesso dall’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Salerno. Con il detto atto veniva imputato il maggior reddito accertato nei confronti di una società di capitali per operazioni oggettivamente inesistenti, con il conseguente recupero di un maggior reddito di capitale in capo al socio, quale utile occulto. Con il ricorso venivano eccepiti plurimi motivi, tra i quali la violazione dell’onere probatorio.
La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, con la sentenza n. 906/22 depositata il 14/04/2022, rigettava il ricorso con condanna alle spese di lite, ritenendo infondate le argomentazioni addotte. Il ricorrente, pertanto, proponeva atto di appello, che veniva accolto dalla Corte di Giustizia di Secondo grado. Ripercorrendo i fatti, l’Ufficio, sul presupposto della ristretta base partecipativa ad altra società, applicava una presunzione di “secondo grado” ritenendo legittima la presunzione di distribuzione occulta degli utili al socio, così applicando al reddito accertato alla società di capitali, la quota di partecipazione del socio persona fisica, determinando un utile “in nero” tassabile.
La Corte rileva che “l’articolo 42, comma 2, D.P.R. 600/1973 stabilisce che l’avviso di accertamento “deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato […]” e che il citato comma 2 prevede all’ultimo periodo che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.
L’avviso di accertamento impugnato “è carente: manca l’allegazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e non viene nemmeno riportato uno stralcio che ne riproduca il contenuto essenziale. Oltretutto, l'Ufficio, che assume la veste di attore in senso sostanziale, in quanto fa valere la pretesa tributaria, e che quindi, ex art. 2697 c.c., ha l'onere di fornire le prove dei fatti posti a fondamento della domanda azionata”.
Nel caso di specie, “in tema di distribuzione dell’onere della prova, è l’Ufficio tenuto a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. È necessario sottolineare la differenza tra “adeguatezza della motivazione” dell’atto impositivo e “prova dei fatti” posti a fondamento dello stesso, evidenziando come l’esistenza di una adeguata motivazione del primo non implica anche la prova dei fatti sui quali essa si regge, essendo diverse ed entrambe essenziali le funzioni che l’una (motivazione dell’atto) e l’altra (prova dei fatti che ne sono posti a fondamento) sono dirette ad assolvere. Mentre, infatti, la motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria di cui all’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212/00) è finalizzata a rendere edotto il contribuente sull’an e sul quantum della pretesa tributaria, consentendogli così di approntare sulla stessa un’idonea difesa (sicché il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze), la prova attiene invece al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso”. Oggi “il nuovo comma 5-bis dell’articolo 7 D.lgs. 546/1992, nel caso della presunzione di distribuzione di utili ai soci, l’ufficio è chiamato ad indicare esplicitamente gli elementi concreti sulla cui base le somme presuntivamente sottratte a imposizione da parte della società siano poi confluite ai soci. La presunzione non legale ma elaborata dalla Suprema Corte, che va inquadrata nell’articolo 2729 cod. civ., è basata pertanto su un fatto equivoco, con il conseguente sbocco in inammissibile praesumptio de praesumpto sull’irrilevanza della mera ristretta base azionaria o familiare della società”.
Pertanto, “la Corte ritiene che l’Ufficio non abbia assolto il proprio onere probatorio in merito alla cd presunzione di distribuzione di utili in società di capitale a base ristretta, violando i principi di prova, anche in considerazione che non ha emesso nessun avviso di accertamento nel confronti della società”.